«La cartografia della propria anima» in Sulla terra leggeri (2024) di Sara Fgaier
- 16 feb
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Il film di Sara Fgaier si apre con una citazione dell’autore francese Jacques Berne, sui Livelli di Vita, e segue poi il cammino di Gian – un professore di etnomusicologia – nel suo confrontarsi con un’amnesia temporanea.
Grazie ai suoi diari, consegnategli dalla figlia Miriam, Gian inizia pian piano a vivere una continua rivelazione.
Cosa può accadere se non ricordiamo più l’amore della nostra vita?

Una vita può perdersi, riconoscersi e infine ritrovarsi in diversi film. Ma cosa accede se è un film ad attraversare, con la sua ricercata magia, più di una vita?
Uno straripante archivio di immagini di mare visto dall’alto sembra rappresentare una prima ispirazione per la stesura di un tessuto a olio cinematografico che lascia liberamente rintracciare allo spettatore, in alcune delle sue costellazioni, il pensiero di diversi filosofi.
Dall'ispirazione proveniente dall'infanzia della regista, Sulla terra leggeri rappresenta, per lo spettatore, la magia di un film che racchiude, in una sola spirale, passato presente e futuro. Una stratificazione poetica in grado di connettere il cinema e la vita su diversi piani.
La ricercatezza formale del film non esclude ma sublima, nella visione, uno scenario molto simile a quello tipico delle immagini in controluce su cui lo spettatore si attarda volentieri. Come rapito, anche nel ricordo, ad osservare quei granelli di polvere che si librano autonomamente nell’aria e che, grazie a essa, lo invitano a perdersi, nel presente, nella ricerca della loro possibile origine o traiettoria.
Come se la scrittura veicolasse, con un metaforico e ondulato inchiostro blu, il ricordo e l’immagine, Sara Fgaier ci riporta alla mente i pensieri di Jung, Nietzsche e Borges sul fatto che non possa esserci memoria senza oblio, sulla possibilità, quindi, di percepire l’amnesia come qualcosa di necessario.
La sovrapposizione dei piani, nel riflesso, oppure tra scrittura e lettura, nell’immagine; assieme all’utilizzo della voix intérieure, sembrano tutti dettagli in grado di rievocare allo spettatore un (caro) immaginario cinematografico e letterario ben preciso.
Quest’ulteriore stratificazione del film, che potrebbe, in alcuni casi, far tornare alla mente un frame del meraviglioso adattamento dell’opera di Marguerite Duras, La Douleur (2017), oppure la nuca de La jetée (1962) di Chris Marker, non può che contribuire alla creazione di qualcosa di altro che, dopo la visione, resta indelebile nell’esperienza dello spettatore. Così come potrebbe apparire, da una semi-citazione del film, la rivelazione della: «cartografia della propria anima».
Com’è stato fare questo lavoro così stratificato?
«È stato uno straordinario lavoro di montaggio. C’è stata una volontà di sentire il film, di trovarlo... Volevamo cercare di parlare a voi attraverso le immagini».

«È uno di quei film in cui è impossibile dire quale scena verrà dopo l’altra. […] È una scena infinita. […] Abbiamo scritto una sceneggiatura che era un po’ come una mappa in cui ci siamo persi».
Durante il processo di realizzazione c’è stata molta complicità in fase di montaggio. «Questi sono quei film che: o sono impossibili o sono facili da fare… E questo film si è fatto da solo […] grazie» anche «alla tranquillità che c’era di fondo». A tal proposito uno degli attori spiega che, durante la fase di realizzazione del film, lo stare tranquilli sia stato per tutti i suoi partecipanti: «il modo migliore per divertirsi».
«Il film è stato riscritto in modo inaspettato in fase di montaggio. Si è riusciti a fare qualcosa che non era scritto (dapprima) nella scrittura. Si sono create delle fasi della narrazione in cui si poteva contemplare una variante, (o meglio) una costellazione di varianti».
«Più che di ricostruzione» si è trattato di «una scoperta che noi da spettatori facciamo insieme ai personaggi».
Si tratta quindi di «una ricerca continua», onesta e spettacolare, anche «sul linguaggio cinematografico» che, in questo caso, si rivela allo spettatore «così musicale» e come «un vero cinema di poesia».
Essendo quindi questo film «un po’ un viaggio», si è trattato di andare anche alla «ricerca di spazi», girando in diversi luoghi nel corso dei mesi. Dalla Liguria, nelle Cinque Terre, a Genova, al golfo dei Poeti, fino ad arrivare a Tunisi oppure ad attraversare, in nave, il Mediterraneo. Mentre (in parallelo) le immagini di archivio utilizzate provenienti dall’Archivio Luce hanno dato vita (trasformandosi) a «un archivio di sentimenti».
Sulla fotografia infine, dagli addetti ai lavori, si apprende che in questo film lo spettatore potrebbe incontrare: «la luce chimica dei sogni».



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