A lezione di cinema con Bellocchio per i sessant'anni de I pugni in tasca (1965)
- 25 ott
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Aggiornamento: 26 ott
Per i sessant'anni de I pugni in tasca (1965), esordio alla regia spartiacque di Marco Bellocchio, il regista ha tenuto una masterclass alla Festa del Cinema di Roma lo scorso 24 ottobre. Con Bellocchio si è parlato di «una piccola grande rivoluzione» che, a quei tempi, anticipava i temi del '68 e che, nel presente, suscita ancora un grande interesse giovanile.

Secondo Bellocchio «il suo essere così poco realista lo difende dal tempo». La pellicola affrontava e affronta, per gli spettatori dell'oggi, quella rabbia repressa nei confronti di qualcosa che li soffoca e lo fa prima di tanti altri film, per abbattere alcune pareti che, in questo caso, sono quelle di un casa borghese.
«Questi gesti di ribellione erano sorprendenti», come lo furono per il Francesco di Liliana Cavani, altro film contemporaneo a I pugni in Tasca, nonché ulteriore oggetto di studio della Masterclass. Pellicola alla cui realizzazione prese parte lo stesso Marco Bellocchio.
Il regista ha ricordato come I pugni in tasca sia stato un film prodotto in totale autonomia e in seguito agli anni di formazione vissuti al Centro Sperimentale, durante e dopo il tempo trascorso a Londra, permanenza durante la quale continuò a formarsi e realizzò la prima versione scritta del film.
Tra gli altri argomenti della Masterclass vi sono stati alcuni consigli di visione da parte del regista. Appunti su altri registi e film che lo hanno ispirato, come Alain Resnais con Hiroshima Mon Amour (1959), che Bellocchio reputa un capolavoro, ad esempio per il suo andare oltre il campo-controcampo oppure per il suo donare allo spettatore cose che «ti ricordi sempre», o ancora altri spunti come quello su Carlo Lizzani con La vita agra (1964).
Dopo aver consegnato il premio alla carriera a Richard Linklater al #ROFF20, Bellocchio ha raccontato di come - durante i primi tempi al Cinema Sperimentale - la sua sia rimasta una formazione letteraria e che tanto aveva a che vedere con il Surrealismo, ad esempio con Buñuel. Il punto di partenza per il regista non è mai stato quello di «fare delle scelte sullo stile» quanto di basarsi su «un’inchiesta di realismo».
«Volevamo un cinema che fosse una finestra aperta sul mondo», spiega Bellocchio, un cinema simile - come ricordano in Sala Petrassi i mediatori dell’incontro - «allo scorpione in Orson Welles. Non sarebbe stato lo stesso se non avesse punto».

Mentre riflette sui suoi possibili progetti futuri, tra cui quello di esaudire il «sogno di fare qualcosa di minimale», Bellocchio pensa a «quella voglia di appassionarsi di film» che c’era al tempo dei suoi esordi anche nel mondo della critica, invitando i giovani aspiranti registi a rivolgere la loro attenzione a quello che per lui è più importante in un film ormai concluso quanto in un film ancora tutto da realizzare.
Tornando sempre a I pugni in tasca Bellocchio ricorda come, anche di fronte a una sostanziale assenza di mezzi, abbia proseguito nella realizzazione del film in virtù di un sentimento: «Ho il sentimento che è importante? Allora io lo faccio». Per quello che lo colpisce invece in un film altrui Bellocchio fa l’esempio di Liliana Cavani, tornando alla sua serie televisiva su San Francesco realizzata anch'essa all'epoca con un budget molto piccolo. E, in particolare, lo fa parlando di Lou Castel nei panni del protagonista della serie, Bellocchio guarda al nuovo cinema senza per forza voler dare ai suoi rappresentati un vero e proprio consiglio, eppure afferma: «mi ha emozionato perché era vero».



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