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Cura, silenzio e metafora ne L'affanno prima della quiete (2024) di Salvatore Iemmino Pellegrino

  • 16 feb
  • Tempo di lettura: 3 min

Cosa accade se la nostalgia di Haruki Murakami incontra la fotografia di Jörg Widmer in Terrence Malick?

O se il soliloquio di William Shakespeare si contamina con il dialogo in Denis Villeneuve?


Nella pomeridiana penombra di un appartamento, la voce di un uomo si confronta con uno scrittoio. Davanti a lui c'è una macchina da scrivere e poco più tardi anche una figura di donna. Riapparsa nella sua vita, questa donna è ora seduta dalla parte opposta dello scrittoio. L'uomo interagisce con lei, riflette, a ritroso, sulla passività della pagina bianca o della pagina scritta. Si sofferma sul pensiero di un'involontaria e personale immersione nel dolore per poi tornare sul testo della sua ultima richiesta di aiuto. Tra le righe: un desiderio, redigere l'ultimo capitolo di una storia.


Che cos'è la cura?


L’affanno prima della quiete ci riporta come un'onda al punto di partenza delle nostre domande. Dopo la visione, grazie al regista, siamo nella condizione di non poter ricevere alcuna risposta. Forse soltanto l'eco di un duro lavoro dopo l'ispirazione.


Qual’è la cura allora?


La macchina da presa mostra un volto in attesa, poi si sofferma su un altro volto e infine su un quadro.

Presentandoci in medias res i due protagonisti, la mdp varca la soglia d'ingresso dell'appartamento dello scrittore per poi rimanere fissa nella loro direzione.

Nella cornice di un monolocale percorriamo con gli occhi la profondità della stanza, notiamo che quest'ultima è anche la distanza tra noi, la mdp, e i due protagonisti.


Nel frattempo il dialogo tra lo scrittore e la sua confidente prosegue e sembra che la distanza che separa i due lati opposti della stanza sia sempre di più in procinto di accorciarsi. All'avanzare di ogni parola nel dialogo la distanza che separa entrambi dall'esterno sembra diminuire progressivamente.


Dopo un lungo periodo di solitudine, lo scrittore accoglie l'invito ad attraversare l'inquadratura. Si muove da destra verso sinistra, segue l'interlocutrice. I due escono di casa e i contorni dell'immagine sfumano mentre il dialogo rievoca stavolta una loro datata conversazione epistolare.

Onorina della Rocca ne L'affanno prima della quiete (2024)
Onorina della Rocca ne L'affanno prima della quiete (2024)

Risvegliare il ruolo dello spettatore attivo, in questo caso, potrebbe significare per un regista, e per il suo alter ego scrittore, voler esplicitare un modo di guardare. In che modo, ad esempio, per lo spettatore, il compito di cogliere le proprie metafore sul proprio cammino debba essere affidato proprio a colui che, per primo, le incontra.


Come ci si comporta allora dinanzi a un bivio quando i suoi sentieri somigliano alla netta ma morbida biforcazione di un libro? O quando quest'ultimo sembra essere stato appena aperto a metà di fronte ai nostri occhi?


Il regista vorrebbe che noi spettatori continuassimo a rivolgerci le nostre domande anche dopo la proiezione. Cos'è la cura per gli spettatori dopo aver attraversato lo schermo? Che significato hanno per noi le sue metafore? Quali sono gli elementi che durante lo scambio tra i due protagonisti incontriamo?


L'affanno prima della quiete si presenta come un ambiente filmico inizialmente statico, nella forma, come lo sono le due sedute ai capi opposti della scrivania. I contorni delle figure umane sono decisi, come le loro parole. I colori nell'inquadratura si accendono assieme agli esterni. Questi ultimi sono talvolta fuori fuoco, specialmente se anticipati dalla figura umana. Ed è in questo caso che sembrano divenire il passaggio ideale per disfare la polvere, per lasciar filtrare la luce e uscire all'aria aperta.


Da lì, o dal ricordo di uno scambio di lettere, si può riporre fiducia nella scrittura dell'altro, si può continuare nella visione, seguire le chiome degli alberi, superare i colori di un temporaneo tramonto.


Come il bianco e il nero della luce e del buio, gli interni e gli esterni del film non rimangono entrambi abitabili dai due protagonisti. Gli esterni sembrano esserlo invece quando vengono associati al futuro brillare di una sigaretta o del suo accendino.


La scrittura, come il lib(e)ro?-sentiero, ne L'affanno prima della quiete è surreale. Stare da soli in casa per nove anni non accade mai, eppure in un film tutto può accadere.

Dalla luce naturale, al blu che si contamina con il rosso-arancio dell'orizzonte, il film si chiude con un ulteriore ringraziamento rivolto ad Alejandro González Iñárritu. Il regista lo ringrazia per avergli trasmesso il suo amore verso il cinema e, nel frattempo, in un altro frame dei titoli di coda, ci permette di ricordarci del Divenire di Ludovico Einaudi...


Simone Pascale ne L'affanno prima della quiete (2024)
Simone Pascale ne L'affanno prima della quiete (2024)

@ Cortometraggio prodotto da Salvatore Iemmino Pellegrino in collaborazione con Mess Lab. Produttore esecutivo Luigi Di Domenico. Aiuto regia Luigi Tomasino. Sonoro Francesco D'Acunzi. Musiche Luigi De Angelis. Fotografia Salvatore Iemmino Peggerino, Luigi Tomasino. Designer Nadia Carfora. Soggetto originale, regia e montaggio di Salvatore Iemmino Pellegrino.

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03 giu
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Roma (RM), Italia

Progetto artistico critico letterario No profit a cura di Giada Ciliberto 

Giornalista Pubblicista 

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