Immaginare i dettagli della memoria con Goodbye Pig di Roberta Palmieri (2024)
- 23 set
- Tempo di lettura: 3 min
Se Goodbye Pig non fosse un cortometraggio sarebbe un origami e avrebbe ugualmente le sembianze di un maialino. È in questo modo allora che soltanto sbrogliando la sua forma iniziale si potrebbe ascoltare tra l'apertura delle sue pieghe e scoprire che - come accade guardando il nuovo corto di Roberta Palmieri - oltre alla sua chiave documentaristica, che svela un passato, c’è in realtà la volontà di avventurarsi in un altro diario di bordo, in un viaggio dove a guidare lo spettatore è una soggettiva che ignora il suo futuro ma che desidera credere ancora nell'umanità.

Goodbye Pig (2024): Il processo creativo del film
Questo cortometraggio è nato da un punto di vista più produttivo, spiega Roberta Palmieri. «Nel senso che deriva da un percorso di formazione riservato a ragazze che vogliono entrare nell'industria cinematografica. Durante questo percorso è stato chiesto di scrivere una sceneggiatura realizzabile in due giorni ed è quello che abbiamo fatto. Il corto è nato, in realtà, come quelle cose che nascono così, di pancia. Ho avuto il bisogno di raccontare una storia di una persona innanzitutto, e questa prima persona volevo che fosse qualcuno che non si sentiva completamente uguale agli altri e che allo stesso tempo non sapeva cosa lo aspettava».

A partire da questa idea, Roberta Palmieri ha ricostruito un diario filmico dei ricordi di questo protagonista. Ma dal momento che questo personaggio un po’ particolare non ha una voce, nel senso che non può parlare, la regista ha poi immaginato in che modo poter costruire i suoi ricordi.
«Gli animali compiono questi viaggi», e il motivo per cui la regista ha scelto di far diventare il maialino un maialino spagnolo è perché molti di questi animali arrivano proprio dalla Spagna, uno dei Paesi con un tasso di produzione di carne maggiore. Una lettura inoltre che conserverebbe per alcuni spettatori una possibile metafora volta a coinvolgere tutti noi.
Per la realizzazione del corto, Palmieri ha iniziato a lavorare in squadra con altre quattro ragazze e soltanto in un secondo momento è arrivata la sua protagonista, Immacolata.
Il maialino (Immacolata nella realtà) si sposta contro la sua volontà verso l'Italia. Osserva l'Uomo con l'inconsapevolezza di chi non sa distinguere il più volgare dei pisolini dalla simbologia di un miracolo e si affida però alla sensazione che le dona quest'ultimo fino a lasciarsi perdere dal pericolo. Il maialino si perde, per fortuna, per ritrovare il desiderio di una forma di libertà, come se fosse ancora nascosta oltre le colline. Forse si tratta di un luogo, chissà se immaginario, ma che possa riflettere il suo ricordo. Una strada maestra che si trasfigura nel vento e che, per il protagonista del film, diventa quella materna accoglienza che, insieme al pericolo, ha appena perduto.
La voce infine che segue il pensiero del maialino, quando quest'ultimo si addentra nelle campagne, rasenta anche l'equilibrio delle sue suggestioni e grazie a un ottimo intuito, restituito all'embrione del corto in fase di montaggio, non fa avvertire allo spettatore la mancanza di un attore protagonista.
«Goodbye Pig - infatti, come conclude Roberta Palmieri per Filmucci - «non può definirsi un film completamente senza attori, dal momento che la presenza della voce off in un'altra lingua rappresenta la coerenza di una volontaria scelta regista, quella di approcciarsi all’idea iniziale del film realizzandola attraverso lo scioglimento di un racconto documentaristico».




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