Per un cinema libero, Diciannove (2025) di Giovanni Tortorici
- 2 mar
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È stata una grande epifania questo copione, racconta Luca Guadagnino durante il suo confronto con il pubblico del Cinema Troisi sul film d'esordio, da lui prodotto, di Giovanni Tortorici, regista emergente reduce quest'anno dalla sua fulminante presenza, a dire non solo della critica internazionale, nella sezione Orizzonti a Venezia 81.

Quando credi in un film, come in questo caso, e scegli di produrlo, afferma Guadagnino: lanci il cuore oltre l'ostacolo.
Ed è seguendo l'infinita scia di post-it lasciata dietro di sé in fase di scrittura da Tortorici che la sceneggiatura di Diciannove si sarebbe presentata sin da subito adatta a questo lancio agli occhi del regista di Queer, poiché ricca di contraddizioni stupende.
Una delle prime particolarità che contraddistingue l'esordio alla regia di Tortorici è che Diciannove è un film che non vuole presentarsi in qualità di opera generazionale, poiché ce ne sono già molte, quanto invece come un’opera desiderosa di indagare l'irriducibilità nell'esplorare il punto di vista del suo personaggio, Leonardo, uno studente palermitano fuori sede che si sposta dalla sua città natale a Londra, dove vive la sorella, e poi a Siena dove si trasferisce lasciando i suoi studi di economia per continuare, in Italia, sulla strada della letteratura.
Diciannove è un film che permette allo spettatore di immergersi in maniera totalizzante nella solitudine di uno studente che al suo primo anno di università è alla ricerca del suo posto nel mondo. Questo viaggio introspettivo di Leonardo dimostra di riuscire a trasmettere qualcosa a chi lo guarda che possa andare ben oltre se stesso, sebbene lo spettatore sia invitato al contempo a immergersi nel suo percorso di autoanalisi per arrivare alla catarsi, al tu per tu - quindi - con il proprio inconscio.
Nella sua Odissea tra coetanei e professori, il cui filtro è quasi sempre dettato dalla reciproca incomprensione, il film di Tortorici, nella sua esattezza riesce a raccontare un breve ma intenso periodo di transizione, consegnando allo spettatore rare e indimenticabili parentesi di bellezza, prendendo una posizione netta sul disconoscimento dell'autorità e muovendosi nevroticamente tra conformismo e anticonformismo fino a trovare una via d'uscita nella sublimazione delle sue ossessioni attraverso quella sola letteratura che possa dare, per un tempo limitato, la giusta attenzione alla lingua come desidera il suo protagonista per poi lasciare infine ad esso la possibilità di ondeggiare sulle sue stesse certezze, grazie a un confronto inatteso, e approdare sul prezioso seme dato dal margine del dubbio.

Da Dante a Leopardi, le letture di Leonardo hanno un ruolo di primo piano nel film, sia visivamente che sonoramente, accompagnano e sostengono l'immaginazione del protagonista che si rapporta contemporaneamente e attivamente con la vivida sregolatezza dei suoi coetanei.
Dal riecheggiare la sua rappresentazione dell'esagerazione della fantasie di Leonardo visibile nel film, Tortorici si sofferma, nel dibattito, sulla linea autobiografica che ha permeato Diciannove sin dalla sua ideazione, il regista si dichiara contento di (aver intrapreso) questo switch verso il cinema, riportando lo spettatore al suo traslato 2015 anche con una scelta musicale che ben si adatta a questa scelta di intraprendere un salto temporale decennale credibile e al contempo fuori dalle righe.
Tortorici propone agli spettatori uno sguardo Diverso dal vedere solo miseria grazie all'utilizzo dell'autoironia, spiegando al contempo come desiderasse che il (suo) personaggio potesse rimpiangere una prima giovinezza perduta.
Chi ti ha schiacciato così tanto per volere così tanto una morale?
Mentre uno spettatore tiene a prendere la parola per ringraziare Luca Guadagnino, per gli autori che (finora) ci ha fatto conoscere, non si può fare lo stesso anche nei confronti di Tortorici, che oltre che passare in rassegna - da una lente personale - un bagaglio letterario ricercato, propone con imprescindibile sfrontatezza il ritratto universale di una gioventù sincera che asseconda il proprio istinto nel redigere un'invettiva contro un professore centrato nel proprio ego e disinteressato a un reale arricchimento del punto di vista dello studente per poi disinnescare tale impulso, proprio come potrebbe accadere nella realtà.
Il personaggio di Leonardo affronta attraverso il suo esistere in un solo anno nella pellicola anche altri due temi importanti, come l'attitudine - per fortuna ormai sempre più frequente tra molti - a direzionare le proprie abitudini alimentari verso un mancato consumo di carne, e la difficoltà di creare una propria libreria per mancanza di fondi pubblici a disposizione.
Nel suo elogio al disordine e alla polvere, oppure nel suo mostrare gli eccessi e appiattire un ampio ventaglio di sovrastrutture presenti nella realtà studentesca, Diciannove si figura come un film che lo spettatore non si stancherebbe mai di rivedere, proprio per la sua innata abilità nell'adottare un linguaggio tutto suo e il suo riuscire a rendere simbolicamente noto quello che non lo è.
Verso il finale lo spettatore incontra con interesse un fotogramma arrestato, un fermo immagine che - diversamente da quanto accade ne I 400 colpi (1959) di François Truffaut - dopo il suo apparente conclusivo momento di stasi continua, chissà se lasciando volontariamente alle sue spalle un altro potenziale finale del racconto.
Da un punto di vista stilistico-formale, l'utilizzo di molte tecniche diverse nella realizzazione del film, come quella della dissolvenza o della sovrapposizione delle immagini, da cui emerge la difficoltà di riaddormentarsi di Leonardo dopo aver ricevuto importanti input visivi di bellezza nel suo attraversamento di Siena, si riaggancia quanto detto dal regista su uno dei suoi mentori. A tal proposito Tortorici cita Godard e il suo lavoro sulla distorsione delle immagini, anche dei film classici, che lo ha sempre appassionato.
Con la visione di Diciannove - un film completamente libero, per Guadagnino - lo spettatore vede esaurito il suo bisogno di umiltà e si meraviglia per questa libertà pregnante riconoscibile anche nel suo stile, specialmente quando si trova di fronte a un utilizzo del linguaggio volto a dare ancora più forma al suo contenuto.
Un linguaggio già presente nella sceneggiatura che potrebbe anche sembrare di primo acchito sgrammaticato ma attraverso cui, non solo simbolicamente, tutto torna e tutto si dirama: dall'immersione nell'onirico in cui si vede, a ritroso, lo sguardo del regista, alle altrettanto ricercate parti d'animazione.
Verso la conclusione del dibattito sul film c’è stato un momento in cui uno giovane spettatore ha rivolto una sua osservazione, sul personaggio Leonardo, al regista, spiegando come molti ragazzi come lui siano cresciuti, e paradossalmente stiano continuando a crescere, con questa idea che tutti coloro che studiano materie umanistiche non possano poi guadagnare con i propri studi, che siano quindi destinati a non fare niente di affine con essi una volta usciti dall'università, poiché Lettere non ti porta da nessuna parte.
La risposta di Tortorici e Guadagnino arriva univocamente alla sala spiegando ai presenti, con un misto di imbarazzo e soddisfazione nel sapere che non è così, come quest'idea non sia altro che che l'eredità di un radicato pregiudizio.
Ossia che non è vero che il cinema non ti porta da nessuna parte, o che la letteratura non ti porta da nessuna parte, anzi.
In quel momento del dibattito l'alta immedesimazione del pubblico con la pellicola si è trasposta oltre la sala, approdando nel vissuto di ciascuno spettatore e riuscendo a rendere il frutto del discorso a lui così paradossalmente vicino, nella sensazione, da non poter fare a meno di crederci.
Cioè: io ci credo, tu ci credi, e quindi anche siamo imbarazzati entrambi per questa cosa insieme, siamo anche insieme per un cinema libero, che poi non è altro che la chiave di questo film.



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