Sull'orlo della sensibilità umana, Dieci Secondi (2024) di Roberta Palmieri
- 10 mar
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 12 mar
Per Roberta Palmieri Dieci Secondi restituisce quel senso di spaesamento che l'Uomo può provare quando si trova ad essere esposto all'aspetto terrificante della natura.
Questo film ha avuto una genesi di cui è sempre un po' complicato parlare ed è anche per questo motivo che risultando agli occhi dello spettatore come una creazione volontariamente non esplicita avere su di esso un impatto così forte.

Volevo ricostruire quest'esperienza di perdita che ho vissuto, spiega la regista, accennando poi all'inserimento delle chiamate d'emergenza - nel girato - le cui suggestioni, che hanno portato a questa scelta, hanno al contempo avuto l’opportunità di fare sensibilmente leva sulla sublimazione di una perdita improvvisa che dal singolo individuo arriva a coinvolgere, proprio come una scossa, la collettività.
Boato e fruscio diventano sinonimi durante la visione del film. Interrompono la ricerca di un gioco ricorrente dell’infanzia, rintracciabile nelle immagini catturate in passato, e poi restituite, ricostruite nel presente, sotto un'altra chiave, grazie alla scelta di utilizzare una camcorder dello stesso modello.
In Dieci Secondi la connessione con la natura devia in inquietudine, vacilla sull'orlo della sensibilità umana, e lo fa in una maniera tanto sottile che - anche da spettatori - si potrebbe far fatica a parlarne. Il film di Roberta Palmieri trasmette una sensazione che potrebbe essere accostata solamente alla fortuna o allo spavento che si possono provare nel momento in cui si avverte la rottura del silenzio, quando si assiste a un passaggio di daini, a tutta velocità, nella natura sconfinata.
Le immagini della montagna, della vetta del Gran Sasso, allontanano lo spettatore - come preda di una vertigine - dalla rassicurante parvenza dapprima donata a lui dalla visione di una casa immersa nella natura. Alla casa di famiglia si sostituisce poi un rifugio provvisorio, creato nel bosco, una casa di legno costruita con pochi rami che si innalzano verso il cielo.
Nel frattempo sempre al cielo, così come suggerisce uno spettatore dopo la visione, si accede anche tramite gli occhi di Lisa. Dalla visione degli occhi di questa bambina che riflette il punto di vista del cielo.
L'utilizzo dello zoom nel film appare non solo come un espediente tecnico formale ma anche come un'ulteriore metafora del desiderio di vicinanza espresso dalla protagonista, quando questa vicinanza - per lei - appartiene, seppur soltanto nella prossimità fisica, ormai a un tempo passato. Quella voce, infatti, che ascoltiamo e che invita la bambina a guardare verso l'alto, per non affogare, e che dice: «guarda l'uccellino», ritorna, e lo fa grazie all'audio custodito, come un rifugio, nelle registrazioni della camcorder. «Dove siete?», invece, è la voce di Lisa che risponde nel presente, e che nel girato è poi, fisicamente, il piatto che si frantuma.

Per le riprese, continua la regista, è stato utilizzato lo stesso modello della camcorder - 8mm - per ricostruire l'immaginario di quel periodo. La scelta della voce fuori campo del padre [...] ti fa pensare a quegli anni lì, è la ricostruzione dell'immaginario che nella costruzione del film si è rivelata utile a livello emotivo.
Il film è simbolicamente ambientato nell'aprile del 2006 ed è stato girato all'interno di una storica riserva naturale di daini. La casa, infatti, che appare durante le riprese è una casa che affacciava su questa riserva.
Durante la realizzazione del corto si è data una particolare attenzione anche alle differenze generazionali. Dal film questo dettaglio si evince dall'utilizzo o meno del dialetto da parte dei tre personaggi. La nonna di Lisa (alias Elisa Ratenni), ad esempio, lo parla, il papà (Stefano Doschi) lo parla per metà, e infine Lisa (Melissa Falasconi), che è del tutto parte di un'altra generazione, non lo parla affatto.



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