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Il coraggio del nuovo cinema indipendente, Il Mondo è Nostro (2024) di Marco Vinz Pinnavaia e Gabriele Aldo Lo Cascio

  • 11 feb
  • Tempo di lettura: 3 min

Giocando un po' col tempo, Marco Vinz Pinnavaia e Gabriele Aldo Lo Cascio lasciano immergere lo spettatore nella realtà delle banlieues. Una realtà dove le periferie vengono dipinte come un luogo in cui nascono i sogni.


Il film di Pinnavaia e Lo Cascio riesce a cogliere la scintilla sociale della periferia mentre emerge polimorfa, mentre, grazie alle sue umane sfumature, appare come la luce arancio del crepuscolo. È una luce, però, che, pur arrivando dal basso, sembra sempre poter risorgere tra i palazzi, oltre il campo visivo, anche quando il sogno è prossimo a sfumare.


L'urlo di Asia Corvino ne Il Mondo è Nostro
L'urlo di Asia Corvino ne Il Mondo è Nostro

A trent'anni dall'uscita in sala de La Haine (1995), uno dei brani principali ne Il Mondo è Nostro (2024) sembra voler scavalcare l'eco del tragico passato rappresentato a ritroso nel film di Mathieu Kassovitz, per divenire, invece, presenza antropomorfa della musica specialmente a partire dalla scelta di assecondare, anche nel racconto, il ritmo del rap. In sala di registrazione con Asia, ad esempio, si assiste a quel che sembra rivelarsi più un monologo interiore della protagonista, a favore di microfono, che un reale tentativo di incidere il brano sul momento.


Asia in quell'occasione ci lascia sì intendere che aspira ad ogni costo a realizzare il videoclip de Il Mondo è Nostro, il brano che riporta lo stesso titolo del film, ma anche di voler esplicitare allo spettatore questo suo desiderio attraverso il medium musicale, e dunque stratificando ulteriormente il testo filmico.

La protagonista canta nella pellicola al fianco di Medhi, suo compagno di viaggio e di composizione, con cui condivide il suo sogno per la musica e il suo desiderio di riscatto. Attorno ai due ruotano, nel frattempo, altri quattro personaggi. Nessuno di loro, però, è marginale per l'evoluzione del racconto.

Fra questi c'è il fratello minore di Medhi, nonché primo accesso alla dimensione onirica per lo spettatore e giovanissimo mentore di sorprendenti concatenamenti temporali.


A tal proposito, se nei primissimi minuti del film si ha come l'impressione di essere allontanati, quasi respinti, dalle parole di Asia, mentre quest'ultima - assieme a Medhi - guarda la città dall'alto, al termine del crepuscolo lo spettatore arriva già a desiderare che la visione del film non si esaurisca, che il film possa anche non finire.


Contrariamente a quanto accade ne La Haine, nel film indipendente di Pinnavaia e Lo Cascio il rap è costante portatore del sogno che si trasforma, soltanto in un secondo momento, in denuncia sociale. Come un filo sottile che lega, e molto spesso inconsapevolmente, il destino di ciascun abitante delle banlieues.


Nel film di Pinnavaia e Lo Cascio - al contempo - c'è anche una volontà di ricordare la premura che spontaneamente filtra tra i ristretti cunicoli della realtà delle periferie. Anche quando questi ultimi divengono man mano più stretti, come se volessero già indicare una sola direzione. La protezione del sonno, o del sogno, del più piccolo di casa, può esserne un esempio, come può esserlo anche l'iconica maschera scelta da Asia per il videoclip.


Tra colori molto accesi e un background multiculturale, ne Il Mondo è Nostro tutto - alla fine - inizia a ruotare attorno a un oggetto che è, per eccellenza e in sottotraccia, donato dall'universo e portatore - assieme - dell'illusione e del fraintendimento.

Lo spettatore, grazie a quest'oggetto, crede davvero che sia stato tutto frutto del Sogno.

Il film, però, gioca sulla dimensione onirica anche per riportare noi spettatori con i piedi per terra. Come potrebbe accadere, ad esempio, dopo aver sentito un fischio assordante in grado di minimizzare perfino il silenzio.


Infine anche sulla questione del tempo del racconto c'è un interessante momento di scissione.

Alcune immagini del film arrivano a ricostruire due momenti che scorrono in parallelo. Uno di questi è già stato rivelato allo spettatore, mentre il secondo sembra avere strettamente a che fare con una totale messa a soqquadro del precedente panorama onirico. Con qualcosa che, per tutti i personaggi coinvolti, eccezione fatta per lo spettatore, sfugge al loro stesso controllo.


Se all'inizio del film la città la si guarda dall'alto, dal punto di vista di Asia, alla fine del film - e probabilmente non a caso - si ha come l'impressione che sia la città che, dal basso, stia continuando a guardarla.

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Roma (RM), Italia

Progetto artistico critico letterario No profit a cura di Giada Ciliberto 

Giornalista Pubblicista 

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