La rarefatta possibilità di convivere con la visione: Il Diavolo (2023) di Andrea Antonelli
- 17 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Come può l'arte profetica dei tarocchi unirsi al caso e al desiderio per la realizzazione di un film?

L'incontro in metro con un uomo incappucciato, che chiameremo Figura in Nero, dà inizio a una lenta serie di invisibili rassicurazioni. Queste, accompagnate dallo sguardo assente del giovane protagonista che le riceve, si muovono poi in direzione della lussuriosa entrata in scena di una ragazza misteriosa.
Per quelle che sono le sue caratteristiche Il Diavolo (2023) di Andrea Antonelli potrebbe essere considerato un horror atipico, ossia un film che lo spettatore potrebbe riuscire a non associare facilmente, o quanto meno mai del tutto, a un unico genere cinematografico.
D'altronde se è proprio lo spettatore a essere in grado di cogliere una simile e rarefatta possibilità durante la visione sarà anche esso stesso a notare come violenza e tragica essenza, che sembrano convivere nel film, riescano ad agire nell'ombra senza che nessun altro riesca a percepirli, se non il suo principale protagonista. Quest'essenza si nutre di contraddizioni ed è sempre accompagnata da una struttura fantasmagorica che però non fa fatica a mostrarsi come tipicamente umana nelle sue dinamiche. Ne Il Diavolo (2023), ad esempio, vediamo un ragazzo che viaggia enigmaticamente in metropolitana, ma come se stesse sedendo al nostro fianco, e quest'ultimo, grazie a quelle che appare quasi come un’ombra, ci osserva e si insinua nelle nostre debolezze.
Cos'è però l'oblio se non un simbolo di qualcos'altro?

Probabilmente non un'entità malvagia fine a se stessa, quanto piuttosto qualcosa che potrebbe dimostrarsi talvolta anche disposta a perdere pur di agire in funzione di un'allegoria.
Il Diavolo può quindi divenire, soprattutto per lo spettatore, una preziosa occasione per riflettere e che si fa strada attraverso la pellicola, forse e sempre, a partire dall’umano, innescando così più di una riflessione sui desideri del protagonista, su quei desideri che probabilmente permetterebbero alla medesima creazione artistica di realizzarsi attraverso l'umano e di porre quindi fine, seppur temporaneamente e in qualche maniera di risposta, alla ricerca.
L'uomo - il cineasta - agisce allora sull’attore, in questo caso particolare, per fare di entrambi catena trascinante più che colonna portante, o anche per farsi esso stesso maschera che appare e scompare, o che si indossa per poi essere slegata sempre davanti agli occhi dello spettatore.
Grazie alle tracce lasciate nello specchio dal protagonista, né Il Diavolo l’intuizione si fa ricerca, sconfinando dalla personificazione dell'arcano maestro, che dà il titolo all’opera, sino alla realizzazione di un film sull'ombra, sul grigio surreale e invisibile di un terrore che si presenta antropomorfo.
Non a caso infatti, ma come se fosse innescata da un desiderio taciuto, l'originaria triade di elementi svelati nel film, a partire dal primordiale arcano, vengono poi resi visivamente, in ultimis, per sottrazione.
Un altro dei temi ricorrenti del film è invece l'invito. Eppure, in tal caso, nonostante si possa intercettare più di un richiamo a Kubrick, e in particolare ad Eyes Wide Shut (1999), ogni rintracciabile citazione, nell’opera, agisce in maniera attiva e a partire da volontarie imperfezioni. Ad esempio se le interazioni tra gli attori sembrano trasformarsi in qualcosa di sempre più realistico, ossia di ancor più materico e vicino allo spettatore rispetto alla rielaborazione della scelta di un piano meta-cinematografico, ne Il Diavolo questa scelta non potrebbe risultare troppo esplicita o fine a se stessa, poiché si distacca istintivamente nottetempo da quei riferimenti a un certo cinema d’autore, e invece mai del tutto dai travestimenti e dalle trasformazioni che l’hanno reso tale, per approdare, frame dopo frame, nell'inatteso.



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