top of page

Trasposizione visiva dell'intenzione in Queer (2024) di Luca Guadagnino

  • 10 feb
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 18 apr

A pochi minuti dall'inizio del film, al bancone del bar, Guadagnino mette in scena il prolungamento del sentire di William Lee, mostrando dapprima allo spettatore l'estensione visiva delle reazioni interiori del personaggio, quelle che sono le sue alterazioni emotive e, poco più tardi, anche le sue intenzioni.

Il desiderio dello scrittore, rispetto a quanto Burroughs riferisce nel romanzo: in cui è alter ego dal suo autore, diventa, in Guadagnino, visibile sullo schermo e percepibile mano fantasmatica.

Tale avvicinamento del pensiero nel sfilm si manifesta quindi al di là della precedente antropomorfizzazione dei bozzetti. Quando Guadagnino lascia intervenire in scena l'illusione cinematografica per eccellenza, mostra anche allo spettatore, attraverso Lee, in che modo quell'intenzione del personaggio possa svelarsi nel quadro filmico in parallelo a un’altra parentesi di immaginifica realtà. Una visione alla quale Lee e Allerton si ritrovano ad assistere grazie a un’emblematica proiezione.

L'intenzione di Lee nella parentesi meta-cinematografica della sala (Cocteau) in Queer
L'intenzione di Lee nella parentesi meta-cinematografica della sala (Cocteau) in Queer

L'intenzione di Lee si fa strada nel buio della sala mentre tra una poltrona e l'altra, nella penombra meta-cinematografica, ci si dimentica di uno spaccato di Città del Messico, il quale sembra essere stato altrettanto illusoriamente ricreato. Al centro, mentre una citazione dell'immaginario surrealista di Jean Cocteau appare agli occhi dei due protagonisti, il prolungamento fantasmatico dell'intenzione di Lee si avvicina ad Allerton durante l'attraversamento dello specchio del Poeta.


L’Orphée (J. Cocteau; 1950) è soltanto uno dei molteplici riferimenti ad altre opere cinematografiche e letterarie presenti in Queer. Fra questi rimandi si possono cogliere però anche dei dettagli che richiamano la sua stessa filmografia, come quello dello sguardo non turistico della camera, della mdp che si allontana nel momento di maggior vicinanza tra i personaggi, per soffermarsi oltre la finestra della loro camera oppure sui loro oggetti personali, qui stavolta disseminati nella stanza anche in funzione di Set Up. È un quadro dunque che da una parte rievoca quanto predisposto sul set di Call Me By Your Name (L. Guadagnino; 2017), ma che dall’altra aggiunge un oltre alla descrizione degli ambienti attraversati da Lee ed Allerton. La cinepresa in Queer si muove in modo tale che alcuni dei dettagli in campo possano presentarsi come una prima sensibile spia in grado di avvertire lo spettatore che stavolta, per Guadagnino, potrebbe trattarsi di qualcosa di ancor più intimo e personale.


La stratificazione del testo filmico in Queer permette ad esempio di accedere a ritroso alla pregressa conoscenza di Guadagnino dei testi letterari di Burroughs agendo talvolta per sottrazione, cogliendo quanto di scelta personale - in chiave autoriale - sia presente nel film nel suo adattamento al romanzo per rimanere fedele non tanto, o almeno non soltanto, al romanzo stesso, quanto a quel ragazzo che all'età di 17 anni si approcciò per la prima volta alle pagine invecchiate dello scrittore della Beat Generation.


La resa visiva della suggestione dell'intenzione e del desiderio di Allerton non resta però soltanto un'allusione, ma sembra invece risolversi in un'esplicita affermazione del personaggio. Pensavo volessi passarmi la mano sulle costole, dice Allerton a Lee, mentre è quest'ultimo a percepire che lo stesso Allerton potrebbe non essere predisposto ad accettare l'alterità dell'Altro. Non sono mica queer, risponde Lee sorridendo e rivelandoci, anche qui, il suo alter ego consapevole nel racconto.


In Queer la colonna sonora sembra giocare un ruolo molto diverso rispetto a Challengers (2024). Se anche qui si presenta come molto coinvolgente, poiché intimamente connessa al ritmo del racconto e all'andamento dei personaggi, la sua enfasi dovuta al Post Industrial Rock Alternativo di Atticus Ross e Trent Reznor lascia in realtà anche ampio spazio all'ingresso di brani dei Verdena e dei Nirvana oppure di Prince e S. O'Connor, nonché ad alcuni suoni proveniente dalla natura selvaggia o ancora, riecheggiando gli scambi tra tennisti nella precedente pellicola di G., a quelli strettamente connessi alla sonorità diegetica dei personaggi.


Nella spontanea esaltazione della fragilità invece, presente in Queer, come nel bacio di Lee a una costola rotta di Allerton, la sua frase a quest'ultimo rivolta: sii gentile con me, è forse una delle chiavi per leggere l'impossibilità struggente del loro amore, la paura di ciò che hanno trovato come ultima meta di un lungo viaggio.


Nel frattempo alla fantasmagoria della percezione degli arti, in quanto intenzioni, si affianca la momentanea sparizione del corpo. Un disancoramento che sembra traslitterare visivamente quanto detto - prima e dopo - da Lee: mi interessa altro, dice, o ancora: io sono disincarnato. Non sono queer, dunque, sono, (invece) fuori dal corpo.


Sui colori della pellicola, oltre alla percezione dello spettatore di un qualche chiaroscuro lynchiano, nel motel tinto di rosso, che si presenta all'inizio come un ambiente fisicamente ben conosciuto da Lee, si trasfigura poi definitivamente nell'onirico, nella percezione dell'interiorità del personaggio, in una dimensione telepatica in cui il presente, il passato, e chissà se il loro ipotetico futuro siano perennemente in grado di dialogare.


In Queer quando si accende il buio, o si vedono i colori accesi, si entra in una dimensione dell'inconscio abitabile, si percepisce un universo immaginifico che diventa anche mondo onirico che, d'altronde, come sosteneva lo stesso Burroughs, non può che presentarsi come una necessità biologica (quella) di distruggere (in sogno) tutti i pensieri razionali.


Con un salto nel cielo invece che del corpo, e che forse è anche salto nel tempo, due anni dopo lo sconfinamento nella natura selvaggia lo spettatore si ritrova nello stesso posto di prima. È come se fosse precipitato, assieme a Lee, nello stesso bar notturno di Città del Messico. Lì, però, nulla è cambiato, tranne William Lee.


Dalla divisione in capitoli, come possibile e gradita scelta meta-letteraria nella trasposizione dal testo letterario al testo filmico, lo sconfinamento ultimo nella foresta amazzonica è anche sconfinamento dal romanzo e sembra traghettare lo spettatore in un altro film, specialmente per i ritmi e le modalità scelte per addentrarvisi con la macchina da presa. Quest'alternativa appare innanzitutto, al di là dello schermo, come una scelta coraggiosa per G. Un'azione brusca che però ha tutte le tracce di un'inconsapevole fedeltà alla bibliografia del suo autore (si pensi, ad esempio, alle connessioni del film con Le lettere dello Yage W. S. Burroughs e Allen Ginsberg, 1963) e, inevitabilmente, alla sua personale visione filmica nella trasposizione.

La mano di Lee (alias Daniel Craig) in Queer
La mano di Lee (alias Daniel Craig) in Queer
Io voglio parlare con te, ma senza parlare.

La simbologia in Queer è tattile e soverchiante. Dagli animali guardiani che ascoltano silenziosamente gli umani nella foresta, al serpente che ritorna e si morde la coda. Visione onirica, quest'ultima, che potrebbe assumere diversi significati, specialmente se applicati al vedere di Lee rispetto al suo passato nel racconto. Il film segue il gioco dinamico delle allegorie fino al punto tale da simulare visivamente, più di ogni altra cosa, il dialogo, l'incontro e la fusione dell'inconscio dei due protagonisti. E nel frattempo, mentre scacchi, humor dissacrante, locali e insegne luminose si alternano, l'unico neon matto risulta essere A nuestros amores.


Rispetto alle scenografie i costumi dei personaggi sono minimali, ridotti alla base della loro caratterizzazione. Eppure nella loro essenzialità, i dettagli delle scelte stilistiche pare riescano comunque a dare molta credibilità a ciascuno di essi e a risaltare con naturalezza la loro intensità espressiva. Fra questi, ad esempio, si possono citare gli occhiali trasparenti di Lee, che il personaggio indossa sempre assieme allo stesso completo di colore chiaro.


Se si volesse invece citare un simbolico oggetto della scenografia si potrebbe dire che attraverso l'apparizione dei libri sullo scaffale ricreato in legno amazzonico la Ricerca di Lee può evolversi e si risolversi finalmente nel suo mi interessa la telepatia. Nonché in poetica fusione e immagine embrionale, nel timore di vomitare il proprio cuore e nel constatare la presenza di lacrime cristallizzate sul proprio volto il giorno successivo.

Lo Yage, l'Ayahuasca (o liana degli spiriti) segna infine il vero ingresso nella foresta amazzonica del sentire dei personaggi. Questo attraversamento di un'ulteriore soglia si verifica sì al momento dell'ingerimento dell'estratto di erbe che Lee cercava da tempo pur avendolo già sotto i suoi occhi, ma quanto più allo spettatore grazie alla natura psichedelica della visione di ciò che Lee è tragicamente destinato a vedere e a lasciar fuggire.

L'incontro con il Dottor Cotter è un'altra parentesi emblematica del film. La presentazione con la visionaria ricercatrice, o messaggero d'amore del film, spinge Lee a sottoporsi a un patto di fiducia, per poi riuscire lei stessa a vedere in Allerton quel che non permetterà a lui di restare.

COTTER - La porta ormai è aperta, non puoi più chiuderla. Puoi solamente guardare da un'altra parte.

Il finale del film, con questa premessa, non può che mettere in difficoltà gli spettatori. Rimanere lì, con Lee, nell'estremamente percepibile dilatazione del racconto conclusiva, è come partecipare alla sua, forse, ultima o ciclica assunzione dello yage (intesa come manifestazione della telepatia). Mentre apprendiamo, senza ancora saperlo, cosa voglia dire fuggire da se stessi, attraverso il sentire subito da Lee, avvertiamo anche una gamba che rassicura i tremori, e che - come Allerton e il serpente - in un infinito, rispetto a chi fugge, ritorna.

2 commenti

Valutazione 0 stelle su 5.
Non ci sono ancora valutazioni

Aggiungi una valutazione
Ospite
17 apr
Valutazione 5 stelle su 5.
Mi piace

Ospite
24 mar
Valutazione 5 stelle su 5.
Mi piace

Roma (RM), Italia

Progetto artistico critico letterario No profit a cura di Giada Ciliberto 

Giornalista Pubblicista 

  • colibrìcinématographique - Onda Collettivo - Produzioni
  • Youtube
  • LinkedIn
Proposte di collaborazione

Contattaci

bottom of page