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L'inventivo viaggio della scrittura in Italo Calvino nelle città (2024) di Davide Ferrario e Marco Belpoliti

  • 2 mar
  • Tempo di lettura: 5 min

Che differenza c’è tra raccontare e far vedere oppure tra vedere nell'immediato e vedere quello che si è già visto?

Quanta essenza può passare tra quello che si è visto e quello che si lascia vedere, di quel che si è visto, per farlo vedere nel presente?

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Se dovessimo scegliere di seguire la traccia di simili interrogativi, così come consiglia il suo regista, allora probabilmente sarebbe meglio considerare Italo Calvino nelle città più come un film che un come documentario. Come un'opera quindi che, nonostante la sua manifesta volontà di ripercorrere alcune tappe del viaggio calviniano, abbia come suo primo desiderio quello di emozionare lo spettatore più che di voler dare a lui a tutti i costi una spiegazione razionale su chi possa essere stato o meno lo scrittore nato a Cuba il 15 ottobre 1923.

Davide Ferrario e Marco Belpoliti preferiscono allora non indugiare più del dovuto su alcuni dettagli della biografia dello scrittore. L’immaginario delle Città Invisibili viene piuttosto stratificato durante il viaggio condotto da Calvino nell'elaborazione del testo e per tutta la durata del film, nonché di pari passo all'evoluzione delle sue opere.


Gli scritti di Calvino, sebbene appaiono sempre diversi uno dall’altro, sembra che possano formare, anche nel film, un flusso inventivo unico. Un'unità immaginativa in grado di agire attivamente nel disvelamento di ampi spazi vuoti che non solo esistevano all'interno delle sue creazioni ma che si scopriranno essere o essere stati tali, talvolta, anche nella realtà.


I luoghi del film, oltre a essere in gran parte torinesi, inducono lo spettatore a pensare di avere un privilegio. Quello di poter essere vissuti dai passanti in qualità di luoghi astratti, attraversabili quindi - come si dirà - a partire dal vuoto che vi è tra un punto e un altro.

Allora (è vero che) tutte le città sono uguali (?)


Lo spettatore assiste all’attraversamento di città diverse da parte di tre personaggi, interpretati rispettivamente da Filippo Scotti, Alessio Vassallo e Valerio Mastandrea. Ciascuno di loro, nelle vesti di un alter ego calviniano, rappresenta una fase differente della vita dello scrittore. Al loro fianco vi è costantemente Violante Placido, quella che nel tempo del racconto sembra essere la personificazione di ciascuna di queste città, nonché la loro anima nell’attraversamento. Un’anima collettiva che abita mutevolmente il sentire e il pensiero dello scrittore.

Nel rapportarsi a quest'eterea presenza, sempre parallela allo scrittore, lo spettatore può allora ritrovarsi a voler rivolgere spontaneamente un quesito a ciascuno dei suoi alter ego.

La donna che parla, e che attraversa con loro le città, è, o potrebbe essere, la scrittura stessa? O meglio ancora, questa figura di donna potrebbe essere considerata la scrittura attraverso cui Calvino parla a noi ancora oggi? O con cui lo scrittore arriva a parlare a noi, immergendosi attraverso di essa, nell’illusione filmica delle sue città?


Usare le parole di Calvino non è una scelta causale per Davide Ferrario, poiché il regista non desidera spiegare quel contrasto inscindibile tra depressione e ironia in cui talvolta appare la vita, ma preferisce invece lasciarci immaginare come talvolta sia anche necessario perdersi in quel turbinio citato dallo scrittore. Ferrario desidera mostrare il flusso delle sue memorie senza doversi porre un reale obiettivo, così, come ricorda lui stesso, da non doversi fermare nella creazione.


È Calvino, infatti, in giovane età, a suggerire allo spettatore quanto l'azione gli sia sempre piaciuta più dell’immobilità, oppure in che modo la volontà, più della rassegnazione, e l’eccezionalità, più della consuetudine, possa creare nuovi ponti di parole tra noi e il mondo, o nuovi mondi.


Per ogni alter ego di Calvino, come per noi che possiamo seguirlo tra le sue opere, si tratta di prendere quantomeno retrospettivamente in adozione il suo sguardo per tutta la durata del film. Di non fare appello quindi a un flusso razionale che si avverte già da sé, così da poter sentire come lui, da poter guardare le cose lontane come vicine e le cose vicine come lontane.


Se allora il caos del mondo è risolvibile solo attraverso uno stile per Calvino, i tre attori che inizialmente sembrerebbero non poter essere in ogni caso nel giusto contesto, trovano invece essi stessi, passo dopo passo, il loro unico modo per manifestare il loro stile attraverso lo svelamento che lo scrittore, nel frattempo, guardandoci – o guardando in camera – fa, rivolgendosi a noi, di una sua abitudine di gioventù. Quella di andare ogni giorno al cinema per vedere il mondo.


Calvino torna ciclicamente sul suo scritto vissuto, più che sul suo vissuto in quanto scrittore, per mostrarcelo. Torna sui suoi passi nell'immaginazione e nello scritto dopo l'elaborazione, ricordandoci di aver letto, o di essersi occupato degli altri libri, per diventare uno scrittore tardi.

La scelta del regista di sottolineare questo dettaglio permette a lui di illuminare retrospettivamente, e ai nostri occhi, nel corso della visione, anche l’importanza che avrebbe avuto per le maestranze la ricerca dei materiali d’archivio per la realizzazione dell'intera opera filmica.


Il frutto filmico di Ferrario, ossia quel che è generato dal non dover aver fretta nella creazione o nel voler dare il giusto spazio e il giusto tempo alla ricerca delle fonti e alla loro selezione, permette a noi di accedere anche alla loro pura rappresentazione. Allo specchio di un desiderio di produrre sempre di meno che arriva a noi attraverso una rappresentazione della scrittura nuda e fantastica, come sono le città.


Il film di Ferrario e Belpoliti oscilla tra passato e presente, spostando l'occhio della camera dalle strade di Torino, Mondovì, a Roma, oppure da New York e Parigi alla Toscana – spazia dalla pineta al mare, allo sguardo di Italo Calvino per il suo scrivere e per i suoi lettori.


Nel presente del film, ad esempio, la descrizione aperta delle tegole di Roma sembra contrapporsi, dinanzi agli occhi e al ricordo dello spettatore delle pagine conosciute dello scrittore, alle onde descritte da Italo Calvino all’inizio di Palomar.

Nel frattempo anche il passato e il futuro sembrano quindi poter dialogare nel presente tra le torri di corallo, dove Calvino ci mostra - attraverso un filtro umano e urbanistico sospeso - i suoi silenzi e il (suo) desiderio di dar voce a ciò che non può parlare.


Attraverso i suoi occhi – all’alba del postmoderno – possiamo vedere quel che rende preziosa, come lo è già dapprima e ancora una volta nel film, la visione di Calvino, in cui tutto ora può apparire come un atto di conservazione e di creazione insieme. Un passato che, nel riviverlo, è anche presente e futuro.

Anteprima di Italo Calvino nelle città alla Festa del cinema di Roma
Anteprima di Italo Calvino nelle città alla Festa del cinema di Roma

Ai suoni delle città, alle voci che vi riecheggiano, un altro elemento accompagna lo spettatore verso il finale. Ed è quello della musica, come accade, ad esempio, con la canzone triste, che - secondo gli attori - scopre la tenerezza di Calvino, il calore bianco del Novecento.


Nel nascondersi dietro il fantastico pur essendo permeato della sua razionalità - come ricorda Calvino su se stesso attraverso Valerio Mastandrea - si ha la sensazione di poter ripercorrere il pensiero trascritto. Durante e dopo la proiezione lo ritroviamo grazie all'immersione nel flusso filmico della personificazione di Violante Placido, proprio come se quest'ultima sia la scrittura stessa a voler porgere il suo orecchio in direzione dello scrittore. E lo scrittore, dal canto suo, continua a parlare. Continua ad agire come se dovesse trascrivere quel che pensa fino alla fine.


Italo Calvino, nel film di Ferrario e Belpoliti, ci invita quindi ad operare (e a farlo perfino nella solitudine). A indugiare tra illuminanti riflessioni, talvolta sulla poubelle o sulla politica, sempre meno lontana, e su quei leggeri spostamenti con cui, assieme ad Alain Resnais nel 1957, muoveva in direzione del Canto dello Stirene.

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24 apr
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Roma (RM), Italia

Progetto artistico critico letterario No profit a cura di Giada Ciliberto 

Giornalista Pubblicista 

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