La testimonianza de L'albero (2025) nell’omonimo film di Sara Petraglia: il rapporto con lo spettatore
- 29 mar
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Aggiornamento: 8 mag
L'esordio alla regia di Sara Petraglia, con Angelica e Bianca, ci lascia, come ricorda Carlotta Gamba, con il sogno di tornare indietro nel tempo.

Tornare al tempo più bello e brutto della vita, dove tutto ciò che si provava era possibile.
L’albero resta, assieme a noi spettatori, l’unico testimone, dopo la visione, di quel accade nella sfera d’amicizia e di reciproche ossessioni tra Bianca e Angelica.
Ancora visibile grazie al suo alto tronco, e in questo caso simbolico allievo della stratificazione del tempo filmico, l'albero attende un avvicinamento che possa essere anche come una rivelazione. E dunque anche come qualcosa più di sincronico che di volontario, che possa avvenire, ad esempio, grazie a chiunque desideri trasferirgli il suo ricordo di un amore presente o passato oppure confidargli un segreto.
Già dal suo temporaneamente ignoto posizionamento, l’albero fa in modo che lo spettatore possa desiderare di rivolgere a se stesso una domanda. Un quesito attraverso il quale egli stesso sia poi effettivamente in grado di scoprire dove si trovi quell’inconfondibile chioma.
Quel medesimo albero che anche noi vediamo, mirando, attraverso il loro sguardo, dalla finestra di Bianca e Angelica, e nel mentre si ritrovano entrambe, in un breve periodo della loro vita, a (voler) condividere un grande e luminoso appartamento situato al Pigneto.
A tal proposito la rivalutazione ambientale ed edilizia del colorato quartiere di Roma giunge allo spettatore come un promemoria di quel che potrebbe accadere. Eppure, nello stesso tempo della proiezione, nella contemporaneità, quel che si verifica invece nel film, al suo interno, e nei suoi luoghi affini - quindi anche uscendo dall’appartamento delle due coinquiline - si presenta a noi come qualcosa di agente in un tempo indefinito o indefinibile. Di potenzialmente affine, in ogni caso, alla più complessa e mai così tanto vicina definizione che si possa dare ancora oggi di un’opera d’arte.
Proseguendo il pensiero su un simile binario potremmo dire allora che fare un film rispettando in tutto e per tutto Il viaggio dell’Eroe di Christopher Vogler non permette di perdersi. Mentre L’albero di Sara Petraglia ci permette invece di confrontarci con le sensazioni dell’umano.
Una volta, ad esempio, durante una delle prime proiezioni de Il Sol dell’Avvenire (2023), Nanni Moretti disse agli spettatori del Cinema Nuovo Sacher che i personaggi del suo film erano come nella vita, ossia che non cambiavano per meglio adattarsi a uno schema definito, funzionale.
È allora sulla base di queste moderatamente richiamate premesse che potremmo anche dire che l’opera prima di Sara Petraglia riesca a donare allo spettatore - più di tutto - un’opportunità. La possibilità di vivere o di rivivere, ammirando e talvolta soffrendo con lei, quella tipica sensazione che si ha nel perdersi a vent’anni. Ma attenzione perché questo viaggio ci permette di farlo senza mai cadere nel moralismo, visto che a grazie ogni presenza nel film, si pensi ad esempio a quella della dottoressa Buzzi (alias Cristina Pellegrino), non ci lascia mai scivolare nella banalizzazione di una pura e/o isolata riflessione generazionale.
Il primo film di Sara Petraglia, prodotto da BiBi Film e distribuito da Fandango, non ci permette solo di vivere lo spaesamento che provano le sue due protagoniste, ma, in particolare, ci aiuta a farlo dal punto di vista di una sola di loro, Bianca, specialmente quando il suo punto di riferimento viene a mancare.
Facendo volentieri a meno di una retorica fine a se stessa, filo che la pellicola non seguirà neppure nel trattare le dipendenze, L’albero favorisce invece l’udibilità di un’eco ancor più mite, ma per questo non meno incisiva, di quella precedentemente portata in scena da Christiane F. (1981) - ossia il film di Sara Petraglia ben ricorda allo spettatore quell’adrenalina dell’invincibilità cantata da Bowie, ma in una Roma del 2025, in cui tutto è più ovattato ma non per questo facile da nascondere.
Sul fortunatamente ibrido terreno della sua spinta creativa, L’albero riaccende nello spettatore la Curiosità, ossia quell’essenziale spinta alla vita che permette di non ignorarla anche quando ci si ritrova da soli, a tu per tu con la scomodità di una soggettiva intenzione, per rielaborarla assieme allo spettatore anche quando quest’ultima viene a contaminarsi con la corruzione della vernice.
Angelica non vuole morire, vuole smettere sin da subito, Bianca no. Naufraga nelle poesie, scrive cose nel candore di un attacco di panico che può essere placato solo da un abbraccio e/o negli occhi celesti di Angelica. Oppure da una rassicurazione senza richiesta trovata nell’innamoramento e/o oltre il brivido di superare i confini della sfida. Mentre dall’altro lato del tavolo, al termine di un euforico itinerario non turistico, e quando ormai il poster color seppia di Leopardi è stato volutamente staccato dalla parete, una voce (ci) ricorda, in bilico, a Bianca che Dipende da te.
Citazioni da L’albero (2025) di Sara Petraglia:
Solo una cosa dovevi fare.
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