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L'arte come onirica matrioska in Mondo Altro (2024) di Viola Bartolini

  • 17 apr
  • Tempo di lettura: 3 min

Il film di Viola Bartolini, Mondo Altro (2024), trasporta lo spettatore nell’onirico e nel non detto che convive con la ricettiva manifestazione sensoriale del soggettivo ma ugualmente universale dialogo fra le sinapsi dell’artista per provare a indagare ciclicamente, attraverso la camera e l’esplorazione del limite fisico ed emotivo degli attori, l’intellegibile processo della creazione artistica.


Valeria Torresan in Mondo Altro
Valeria Torresan in Mondo Altro

Venerdì 11 aprile da Chez Chuormo è una serata di proiezioni internazionali e Marco Vinz invita chi è tra il pubblico a esprimere le loro opinioni per poi lasciare la parola a Viola Bartolini. La regista, dopo aver presentato il suo lavoro alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro nel 2024, desidera condividere nuovamente con gli spettatori la sua opera per poterne discutere insieme.


Marco Vinz - You’re free to express your opinion about the movie.

Viola - Mondo Altro parla di come l'artista cerchi interiormente di affrontare l'opera d'arte, quindi è un viaggio che si fa tramite gli incubi e i sogni nel cercare di capire effettivamente a cosa serva l'arte, tutto il rapporto un po' catartico con la creazione e la creatività.


Dopo la proiezione del film Marco Vinz chiede alla regista cosa ci sia dall'altra parte, cosa sia quindi il Mondo Altro.


Marco - Questo corto si interroga sul processo artistico, quindi è un corto sperimentale. Allora cos’è il Mondo Altro?

Viola - È una dimensione che noi non possiamo toccare. Quando l'ho scritto era per cercare un po' di capire quale fosse la dannazione di tutti i pensatori, non solo degli artisti, di chi deve processare un pensiero e arrivare a una conclusione. Tocca delle sfere che secondo me non riguardano il mondo che noi abitiamo, come se l'arte debba arrivare come un'intuizione che non può essere tastabile, no?

Marco - Cioè che vai in un mondo metafisico?

Viola - Esattamente. E quindi in questa visione è come se noi fossimo solo degli strumenti. Quindi questi processi si attraversano e poi arrivano in questo mondo qua, ma con meccanismi che noi non possiamo conoscere. Quindi era un po' per dire non puoi essere narcisista se sei artista. Non sei niente di base. I tuoi concetti sono delle intuizioni che nemmeno tu capisci. E quindi abbassa la cresta!


Risate tra il pubblico, nel frattempo Marco Vinz traduce in inglese quanto detto da Viola per tutti coloro che presiedono alla serata internazionale di proiezioni.


Marco - Apriamo al pubblico. Opinioni? Se avete delle impressioni sul film (siete liberi di esprimerle), questo è un corto che si avvicina di più alla poesia, alla sperimentazione. Vai, tu.


Spettatore - Non lo so, se parliamo di metafisica secondo me non lo è. Cioè metafisica è sempre fisica, è sempre natura. Cioè totalmente altro non so... È sempre una proiezione umana.


Marco - Per esempio ieri dicevamo, il Duomo di Milano è un'opera d'arte?


Spettatore - Mi sono piaciute molto le parti in spiaggia. Anche la parte finale, quando poi si stacca dal nero.


Marco - Ah, è vero. Ma in casa cosa succede nella fine fine?

Viola - Volevano essere tanti sogni... Per quello metafisico. Perché in realtà non vedi mai la realtà nel corto. Cioè è un po' troppo pretenzioso, no? Cercare di strutturare un sogno non strutturandolo di base. Quindi volevano essere tanti sogni all'interno dei quali ci fosse un processo artistico.

Marco - Quindi alla fine lei?

Viola - Ricomincia il sogno. Si ricomincia da capo.

Mondo Altro (2024) di Viola Bartolini
Mondo Altro (2024) di Viola Bartolini

Spettatore - Junghiano, perché?

Viola - Più che junghiano, freudiano. Nel senso... Anche sulla base del mare, su tutto quello che riporta al mare. È stato un po' uno studio sul concetto di materno. Voleva essere un cortometraggio che...

Marco - Sull'acqua?

Viola - Sì, che si connettesse anche alla matericità dell'acqua. Nel senso più pratico, ovvero nel senso anche del rinnovo di cui si parla nelle teorie freudiane, di base. Perché in una delle interpretazioni c'era la componente dell'acqua come rivoluzione, come nuovo inizio di qualcosa e quindi di un nuovo sogno.


Marco - Ho detto junghiano perché ho visto l'ombra e il processo dell'artista, la relazione che l'artista ha con l'altra parte, la parte interna, che lei non conosce. Poiché nessuno ha una perfetta conoscenza di se stesso. Quindi quando hai una relazione con qualcosa che è dentro di te, è nero, non è chiaro, e in questo processo, in qualche modo, tu provi a relazionarti allo stesso tempo con un mondo sconosciuto fuori di te, in questo senso.


Spettatore - La Grande Madre (ad esempio) è quello (in riferimento all'archetipo di Jung). O per poterci ripetere... C'è anche Simone de Beauvoir, con il secondo sesso (1949).

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Roma (RM), Italia

Progetto artistico critico letterario No profit a cura di Giada Ciliberto 

Giornalista Pubblicista 

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