top of page

Last Call (2024) di Giada Di Palma

  • 18 mar
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 18 mar

Come si può comprimere filmicamente un'emozione?


Nel film di Giada Di Palma la scelta della cabina telefonica e la mancata messa a fuoco del quadro urbano alle spalle della protagonista non è affatto casuale. A un iniziale desiderio d'ispirazione, di non voler donare allo spettatore precise indicazioni di luogo, si affianca una volontà di agire, di vivere, nel vintage. Una retromania che passa attraverso la cornetta e dalla quale, se non fosse per la sua protagonista, sentiremmo davvero molto poco.

Last Call di Giada Di Palma
Giada Di Palma in Last Call

L'unica voce in campo che lo spettatore può realmente ascoltare è quella di una ragazza. Nel dialogo che diventa monologo, e che in breve tempo riassume e sbottona i contorni decisivi di una storia d’amore, lo spettatore può confrontarsi, e forse empatizzare, unicamente col suo sentire.


Last Call indaga la complessità delle emozioni di risposta alla brusca fine di una relazione amorosa, o meglio alla violenta consapevolezza di una fine, tratteggiando lo schema di taglio e agendo su di esso nel tempo di una telefonata.


Anche se non siamo a Londra, il rosso della cabina, il taglio della giacca di jeans e il colore dei capelli della protagonista non possono che ricordare allo spettatore quelli della fine degli anni Ottanta / inizio Novanta di Emma Morley (alias Anne Hathaway) in One Day (2011) di Lone Scherfig.


Last Call di Giada Di Palma, mostra questa carta. Il film dura il tempo di una chiamata e in questo breve tempo a disposizione la sua autrice cerca di portare a compimento un simile esperimento trasferendo in esso qualcosa di personale, che ha a che vedere col mettersi totalmente in gioco, quanto col desiderio - a posteriori - di indagare la propria presenza sullo schermo.


Si giunge, allora, a un secondo quesito al quale potremmo anche astenerci dal dare un'univoca risposta. Ovvero: come può un attore trasformarsi anche in sceneggiatore e in regista del proprio film? E se si trattasse, ad esempio, di qualcosa di pensato e di fatto sul momento?


Se, ad esempio, nascondere, non riconoscere o gestire in maniera sbagliata le proprie emozioni può avere delle ripercussioni sul comportamento e sulla sentire dell'Uomo, in che modo allora si può cercare di comprimere filmicamente un'emozione?


Date le premesse sembrerebbe che nella vita reale non ci sia alcun bisogno di porsi una simile domanda, eppure ci spostassimo invece sul piano della finzione, come in questo caso, in che modo potrebbe un'emozione risultare più autentica in una condizione pregressa inquadrata in pochi istanti?


Un dettaglio, in tutto questo, incuriosisce ancor di più lo spettatore, ossia la brillantezza del suo sguardo, quello della protagonista, una ragazza in cui traspare il desiderio prima che quest’ultimo possa trasformarsi in fuga.


L'idea di volersi allontanare bruscamente da una determinata situazione, quasi come a voler dimenticare quello che si è appena appreso, fa sì che la reazione della protagonista si presenti come ancor più percepibile agli occhi del pubblico, il quale difatti, non potendo conoscere il passato della ragazza, apprenderà invece quanto l'estrema brevità di un film possa essere talvolta necessaria.

1 commento

Valutazione 0 stelle su 5.
Non ci sono ancora valutazioni

Aggiungi una valutazione
Ospite
18 mar
Valutazione 5 stelle su 5.
Mi piace

Roma (RM), Italia

Progetto artistico critico letterario No profit a cura di Giada Ciliberto 

Giornalista Pubblicista 

  • colibrìcinématographique - Onda Collettivo - Produzioni
  • Youtube
  • LinkedIn
Proposte di collaborazione

Contattaci

bottom of page