Manifesto della preziosa imperfezione, Nonostante (2024) di Valerio Mastandrea
- 11 feb
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 8 mag
È nella piacevole drammaticità della prima fila che ascoltiamo Valerio Mastandrea pensare ad alta voce: Penso che l’imperfezione di un film sia una risorsa e non un difetto, afferma il regista, presentando il suo secondo lungometraggio in occasione della rassegna Da Venezia a Roma e nel Lazio. Dopo Venezia 81 e Ride (2018), Nonostante è arrivato in sala, in anteprima, nel mese di ottobre e ci tornerà nuovamente a partire dal prossimo 27 marzo.

Sono trascorsi più di vent’anni da Tutti giù per terra. Il film in cui Walter attraversava una Torino apparentemente senza bordi. Di quell’attraversamento però, che con il tempo ha trasformato il film di Davide Ferrario in uno dei preferiti di Mastandrea, sembra che un'eco sia riuscita a sopravvivere anche in Nonostante (2024). Una traccia, in particolare, connessa ai C.S.I. Una risonanza che diventa oggi percepibile grazie a una precisa scelta nella colonna sonora e che, in quest’ultimo film, sembra rispecchiare qualcosa di molto personale per il suo autore e protagonista.
Difatti, come sosteneva Carmelo Bene, l’artefice non è mai autore d’una propria opera: è di per sé, semmai, un capolavoro vivente, e - in questo caso - Nonostante ben sembra riuscire a far scomparire tale differenza tra autore e attore.
Nonostante pone innanzitutto allo spettatore un quesito. Come può essere ritrovarsi a fluttuare in un limbo che appare più o meno utopisticamente simile al reale? I personaggi di Nonostante abitano difatti temporaneamente una dimensione liminale ma che è al contempo più metafora che vera diagnosi.
Da Noi non ci saremo dei C.S.I. a Cosmic Dancer dei T. Rex, si traghetta, durante la visione, verso un problema metafisico. Al dilemma esistenziale dei personaggi si sovrappone il fantastico che contamina con leggerezza l’intera pellicola. Il film si tinge dei limiti della vita umana per raccontarli e per provare a donare una speranza che vada ben oltre ogni possibile record di permanenza in una struttura ospedaliera.
I primi germogli del film risalgono al marzo del 2020. Un periodo in cui, per gli ideatori, sarebbe stato difficile perfino incontrarsi, mentre - di contro - la spinta creativa per redigere la sceneggiatura avrebbe necessitato, sin dall'inizio, di poter camminare insieme per la città.
Pur lasciando che lo spettatore possa rimanere con i piedi per terra per oltre tre quarti del film, è proprio nel tentativo dei personaggi di continuare a rimanere in questa dimensione, che sembra di percepire davvero l'essenza dell'opera. Ed ecco che si insinua un altro quesito. Quando desideriamo infrangere dei limiti impossibili stiamo forse riconoscendo quel che contava davvero? In Nonostante (2024) quel che conta sembra stare soprattutto nel mezzo, nel domandarsi: come è possibile? Ad esempio. Nel saper riconoscere, dallo stupore nell'auto-formulare un simile quesito, l’importanza di avere il coraggio di correre un rischio.
Il film ricorda allo spettatore l'importanza di sapere mettersi in gioco, in amore come nella vita, di cercare quantomeno un modo per non subirla. Questa speranza trova necessariamente respiro nella scomodità, nella ricerca del difficile. Nella metafora di un salto mai fatto, che inevitabilmente conduce al risveglio.
Ma cosa vuole dire svegliarsi? Il film di Mastandrea si interroga anche su questo.
L’irrazionalità di un incontro inaspettato, ad esempio, attenua la cupezza iniziale della pellicola, integrando in quest'ultima un necessario velo per poter proseguire il racconto. Anche tra i due protagonisti c'è un velo. Lui lo solleva rifiutando la sua transitoria condizione e Lei, non accettando questo rifiuto, trasforma la sua quotidianità sorprendendo, di pari passo, nel limbo, personaggi e spettatori.
Lui si affretta ad abitare agilmente lo spazio che circonda l’ospedale, luogo in cui si svolge buona parte del racconto.
Il riflessivo annuncio delle visite da parte del protagonista, ad esempio, dona allo spettatore soltanto dei primi indizi sul suo temperamento. Il quale si muove, in questo frangente, attraversando lo spazio in un piano sequenza che rivela sempre di più sul che modo che questo personaggio ha di trascorrere il suo tempo in compagnia dei limitrofi abitanti delle corsie. Partecipando, ad esempio, da assente, a lezioni di educazione fisica di una scuola vicina; sostando accanto a tutti coloro che non possono vederlo, oppure ritrovandosi a perdersi infine e strappando – inevitabilmente – più di un prezioso sorriso allo spettatore.
Gli altri, invece, coloro che lo circondano ma che non sono in bilico, come lui, tra la vita e la morte, non vedono chi abita quest’atmosfera liminale. Nonostante vive, a tal proposito, di un sottotesto reso magistralmente dal regista grazie alla naturalezza dell’intimità racchiusa nelle interazioni dei suoi protagonisti e del resto dei personaggi più marginali che, nella realtà del reparto o all’esterno dell’ospedale, non possono né sentirli né vederli, proprio come se - gli abitanti del limbo – fossero realmente in un mondo parallelo. Soltanto il Volontario, tramite e portavoce ultimo della possibilità di infrangere le regole, conosce a fondo la loro condizione e può scegliere se interagire o meno con gli abitanti del limbo ventoso.
Lui e Lei, nel frattempo, ricordano – non tanto per quel che riguarda la caratterizzazione dei personaggi, quanto i pronomi utilizzati nel film, quelli di Marguerite Duras e Alain Resnais in Hiroshima Mon Amour del 1959, e quindi – ancor più esplicitamente – una metafora della loro condizione di stasi universalmente condivisibile.
Un altro esempio di questa condizione si rintraccia, inoltre, nell’introduzione di un altro personaggio. Laura Morante veste i panni della Veterana, che, nell'opera, oltre a essere primo sintomo della forza dei dialoghi, è anche perno, nel racconto, che invita gli abitanti di questo luogo liminale a trarre beneficio da risorsa che germoglia a ritroso (se si pensa alla visione del film), quella della loro imperfezione.
LUI – Perché hai tradotto Proust senza che nessuno te lo chiedesse?
VETERANA – Perché sono cose che si fanno da giovane.
A film concluso si comprende infine che l’invito di Lui rivolto al prossimo, a darsi pace, forza, animo, potrebbe quantomeno non escludere – in se stesso – anche l’elemento del rischio. Se il paradosso quindi di vivere come un lutto il risveglio è la prima porta d’accesso al timore di mettersi in gioco, oltre che il sentimento specchio di una consapevole perdita di memoria condivisa, o di un’amicizia in grado di sfidare la bufera per un ultimo saluto, l’incontro tra Lui e Lei è il nonostante che, più di tutto, mette al riparo dal luogo sicuro. Un limbo dapprima sorvegliato dagli abitanti della struttura ospedaliera come unica consolazione e ora pronto, per la prima volta, a sconfinare, grazie – ad esempio – al rinnovarsi del pensiero del Volontario, che invita lo spettatore a ripercorrere quanto visto finora sotto un’altra luce.



2 commenti