top of page

Il rito delle anteprime di mezzanotte, Parthenope (2024) Paolo Sorrentino

  • 9 feb
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 19 feb

Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto, scriveva così Louis-Ferdinand Céline interrogandosi sull'umanità presumibilmente intorno agli anni Trenta del secolo scorso.

Ora, a distanza di quasi un centenario da quel momento, questa citazione del suo manoscritto, dal titolo Guerra, ritorna nell’esergo che precede l’incipit di Parthenope.

A vent’anni da Le conseguenze dell’amore (2004) Paolo Sorrentino presenta in sala il suo decimo lungometraggio di finzione. Le anteprime di mezzanotte di Parthenope (2024) si susseguono in molti cinema della penisola e donano all’esperienza della visione in sala una ritualità che riduce le distanze e che sembra riuscire a connettere il sentire di diverse generazioni di spettatori che si trovano ad assistervi, ogni giorno, in città diverse, nello stesso momento.


Il potere è rituale oltre che essere codificatore, ma ciò che ritualizza e ciò che codifica è sempre il nulla, affermava stavolta Pier Paolo Pasolini esprimendosi su Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Il potere è rituale anche in Sorrentino, quando Parthenope sembra perdersi nella notte, per quei vicoli di Napoli, che riconducono al nulla. E poi, nuovamente, tra le acque del mare, alla sua origine.

Il potere è rituale, ma la bellezza è potere? A volte è incredibile come la stessa parola, applicata a diversi contesti, sia in grado di confonderci, disarmarci, e chissà se non sia forse proprio quella la bellezza.

Parthenope è gioventù e antichità insieme. È una donna sempre più umana nell’oltre dell'intensità del dolore quanto nel suo confrontarsi con i sintomi della disillusione sull'eventuale potere da applicare alla bellezza. Parthenope però al contempo rimanere anche sempre la stessa. Sempre riconoscibile in quell'eco, in quel ritorno del suo identico sospiro, anche dopo quasi cinquant’anni dalla sua iniziatica emersione dal sale.

Forse non mi sono fatta le domande giuste, dice Parthenope. Ma una divinità non dubiterebbe. Parthenope, seppur di divina bellezza e origine, è dichiaratamente umana anche quando entra nell’età adulta, e forse, rispetto a molte comparse, si presenta ben disposta al fallimento.

A cosa stai pensando? è un leitmotiv del film e forse anche la prima e ultima connessione tra il passato e il presente. Ma è anche una domanda. È uno dei quesiti che Parthenope continua a ripetere a se stessa, ma è anche un punto interrogativo che sembra, in alcuni casi, ruotare attorno unicamente alla percezione, sempre molto diversa, che gli altri personaggi hanno di lei.

Nel film vediamo i suoi genitori, il fratello, che è soffio di vita e colui che sa tutto, e il suo “primo amore”. Poi un omonimo John Creever, che ha cura per la sua giovinezza, un vescovo che dopo la sua avvisaglia si conferma truffatore, due attrici che sono specchio dell'audace miseria che le circonda, e infine il professor Marotta. A seguire vi sono però anche altre comparse. Anche se, al di là dell'economia temporale del film, di comparsa sembrano avere ben poco. Fra queste vi è un uomo, il ricco dell’elicottero dello svilimento e un adulto scugnizzo, molto interessato quest'ultimo a una traumatica fusione tra famiglie. E ad ogni modo, ciascun personaggio o comparsa, nella sua apparizione, forgia Parthenope, proprio come accade nella vita. Ed è per questo motivo che allo spettatore potrebbe sembrare di essere di fronte a una storia senza trama, l’inatteso giunge ai suoi occhi e si dissolve, ma non senza lasciare una traccia, come nella vita.

Ogni piccolo dettaglio sembra raccontare la stessa storia, come l'affezionata ripetizione di Parthenope dell’inchino di una delle attrici napoletane che si affiancano temporaneamente al suo percorso. Oppure in chi intercetta – per primo – la sua fragilità dall’esterno. O a chi semplicemente comprende che interrogarsi, avendo come indice un senso di colpa, non possa giovare ai propri quesiti.

A cosa stai pensando?
L’amore per sopravvivere è stato un fallimento.
Forse non è così.

Forse non basta essere innamorati tutta la vita di Parthenope. Perché Parthenope sfugge. E allora probabilmente sarebbe meglio non giudicarsi a vicenda.

Prima di questo patto, però, alcune idee balorde si innescano dallo scontro tra i conflitti essere generati da due flussi di potere distinti. Da una parte emerge una mascolinità tossica e preannunciata, banale e per questo motivo anche molto credibile. Dall'altra invece un elemento fittizio che scende dal cielo e che riesce infine a planare su Parthenope minandola nel suo avere il coraggio di un rifiuto. Poi interviene un’immediata gratificazione esterna, che però da rassicurazione non esclude la possibilità di trasformarsi attraverso il tempo e lo spazio.

Cos’è l’antropologia? domanda allora Parthenope, lasciando che il film, attraverso di lei, possa continuare ad avanzare soltanto come un quesito, al contempo, allo spettatore due cose molto semplici: di essere attivo e di lasciarsi andare.

Chi probabilmente non riesce a sentire l’odore degli amori passati potrebbe fare fatica. Oppure potrebbe pensare che la fatica sia solo la sua, non cogliere quel che di preziosa può contiene un solo attimo di giovinezza.

Dall'esemplare caratterizzazione dei personaggi, seppur esauditi in breve tempo nel film, poiché è tale, con loro, l’esperienza di Parthenope, molte delle scelte stilistiche del regista sembrano non lasciar pensare facilmente che possa trattarsi di puro virtuosismo. O quantomeno, in nessun caso, di un virtuosismo fine a se stesso. Piuttosto, invece, di un insieme di scelte desiderose di applicare a un particolare gusto lo sfaccettato bagaglio emotivo della protagonista. Quelli che sono i suoi incontri e le sue domande, astratte e poetiche, della sua vita.

Le inquadrature - oltre a voler fermare l’attimo, attraverso un intenso focus sui personaggi, immersi nel loro mondo – colgono, sui panorami interni ed esterni, o fluttuanti, della città, quella vastità a cui Céline sembrava alludere un tempo e con straordinaria coerenza dall’inizio alla fine, dalle prime salmastre scene d’apertura.

Celeste Dalla Porta in Parthenope
Celeste Dalla Porta in Parthenope

Parthenope è la sua bellezza poiché con lo sguardo riflette i suoi pensieri. Dei flussi che sono tracce tanto colme di desiderio, di visione, da sembrare divine, irraggiungibili. La stessa Parthenope che, abituata com'è a salire sulla sua carrozza in stile francese, è anche la prima a lasciarci credere di non essere destinata ad allontanarsi dal luogo della sua infanzia. Eppure Napoli è la stessa Parthenope che ama viaggiare, che cerca talvolta, o per dire degli altri, sempre la risposta giusta. È la Parthenope che sente, in cuor suo, di non sapere nulla.

Il viaggio, per Parthenope, cambia sotto i suoi occhi, quasi senza che lei se ne accorga. Si trasforma come la vita. Come quella che potrebbe sembrare una storia senza trama, perché è la vita. Ed è pensando a questo che potremmo avere come l'impressione che se non dovessimo cogliere questo particolare rischieremo di collocarci tutti nel ruolo di spettatori passivi, ma non solo di Parthenope e del film.

Vi sono molti elementi tragici in questo lungometraggio, e il suo lento elogio alla gioventù e al vedere, o al vederla da fuori come se quest'ultima fosse stata solo un soffio, sembra essere indicativo del fatto che le sensazioni suscitate dalla visione riescano a tornare allo spettatore anche a molte ore di distanza. Quando quell'intensità, quella velata nostalgia e talvolta compiaciuta contemplazione che si avverte nell'osservare Parthenope che osserva, diventa anche la nostra, ricordandoci un po' quel che diceva Tarkovskij sulla solitudine e sulla bellezza, o su come il miracolo non sia mai stato tanto vicino all'impossibilità di raggiungere una verità assoluta, sulla bellezza.

Riflettiamo, io, nel frattempo, continuo a pensare a l’ultima cosa che si impara.

2 commenti

Valutazione 0 stelle su 5.
Non ci sono ancora valutazioni

Aggiungi una valutazione
Ospite
09 feb
Valutazione 5 stelle su 5.
Mi piace

Ospite
09 feb
Valutazione 5 stelle su 5.
Mi piace

Roma (RM), Italia

Progetto artistico critico letterario No profit a cura di Giada Ciliberto 

Giornalista Pubblicista 

  • colibrìcinématographique - Onda Collettivo - Produzioni
  • Youtube
  • LinkedIn
Proposte di collaborazione

Contattaci

bottom of page