L'elogio del caos in Gloria! (2024) di Margherita Vicario
- 18 feb
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Aggiornamento: 21 feb
«È assurdo, è incredibile» non è solo quello che ho pensato durante la prima visione di Gloria!, il primo film di Margherita Vicario, ma anche quello che esclamano unanimemente le sue protagoniste.
Accompagnate da un suono che decresce entrano tutte in sintonia con una danza del corpo che diventa musica e tutt’uno con lo schermo filmico, grazie già alla prima alternanza tra la luce e il buio, nell'incipit, della prima creazione di Margherita Vicario.

Nell’elogio del caos della regista quel che traspare, e probabilmente non si dovrà (o potrà) mai dimenticare di questa sua opera, è che non è il film a passare attraverso la musica, ma la musica a passare attraverso il film.
Quella di Gloria! è una sonorità curativa e senza tempo, che si alterna al silenzio in un crescendo di emozioni, sintonia, ascolto, libertà e bellezza.

Grazie a un realistico e sottile ritratto della figura maschile, che tralascia la sua somiglianza con qualsivoglia stereotipo, sembra di ritrovare , tra le espressioni e i temperamenti di chi, come il Maestro, si oppone all’inno di «Gloria!», La banalità del male (1963) di Hannah Arendt. Sembra di rintracciare nel film di Margherita Vicario un'intenzione in particolare, la sintesi antropomorfa, o quasi la condensazione perfetta, di quelle dittature e di quei totalitarismi attraverso quell'intenzione che la stessa Arendt continuò ad analizzare e a denunciare in tomi e tomi da migliaia di pagine dopo essersi trasferita negli Stati Uniti.
In Gloria! lo spettatore si ritrova nella rappresentazione di un luogo chiuso in se stesso, proprio come può essere una città in seguito a una dichiarazione di guerra, ma dove la musica, che solo in poche possono ascoltare, rappresenta – attraverso le figure di donna in esso presenti, come Teresa e Lucia – la concretezza (o amore) che agisce d’istinto per la sopravvivenza dell’altra, che agisce per sfuggire alla morte.



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