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Riflessioni sui luoghi e Riti fuori dal tempo con Vanina Lappa

  • 26 feb
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 28 feb

La regista e montatrice italo-francese Vanina Lappa ha guidato gli spettatori in un viaggio video-poetico fatto di Paesaggi e visioni per A scuola per restare, uno degli incontri organizzati da Scatola di latta e svoltosi da remoto lo scorso 24 febbraio.

Per l’occasione la regista ha desiderato condividere con noi alcuni estratti dal suo primo film, dal titolo Sopra il fiume (2016), e dalla sua ultima opera filmica, Nessun posto al mondo, vincitrice del premio del pubblico come migliore documentario al Festival dei Popoli nel 2023.

Sopra il fiume (2016)
Sopra il fiume (2016)

Vanina Lappa ha continuato la sua immersione nei luoghi e nelle intenzioni di coloro che li abitano, spaziando tra diverse fasce d'età e invitandoci a prendere parte a una riflessione duplice e molto attuale.

Dapprima la regista si sofferma sulla crisi delle città nell'era post-moderna e in seguito indugia sulla nostra possibilità di immedesimarci con un diverso modo di vivere l'ambiente e il paesaggio. Per entrambi questi temi, che potrebbero riguardare l'Italia intera o potenzialmente qualsiasi nazione - da nord a sud, la regista ci racconta la sua esperienza personale vissuta in Cilento. Durante la quale Vanina Lappa ha realizzato, in due fasi distinte, i suoi documentari.


Il primo film è stato realizzato dieci anni fa. Dopo essersi ritrovata casualmente in Cilento per girare un cortometraggio sul palio del grano. Lì si è confrontata con un gruppo di giovani, partiti e poi tornati nel basso Cilento, per fondare insieme una cooperativa. Durante quest'esperienza la regista non ha mai smesso di approfondire la sua conoscenza del territorio fino a ritrovarsi a viverlo attraverso due personaggi.


I due hanno, anche nella realtà, lo stesso nome, Angelo. Il primo è un giovane ragazzo. L’altro, invece, è il proprietario del bar del paese. Vanina ancora non sapeva che entrambi sarebbero diventati i protagonisti del suo prossimo documentario.

Nessun posto al mondo (2023)
Nessun posto al mondo (2023)

Filmando la lentezza di quei luoghi del basso Cilento, in Sopra il fiume Vanina Lappa inquadra degli scorci talvolta disincantati, dei paesaggi che diventano pensieri e dei pensieri che diventano paesaggi. Caotiche situazioni o singoli sguardi restano come avvolti in una sensazione di sospensione, in un silenzio interdetto in cui la vecchiaia e la prima giovinezza sembrano entrare sin da subito in contrasto seppur dando l'impressione allo spettatore di racchiudere entrambe lo stesso destino. In altre occasioni invece le immagini del film sembrano tradire il filtro di un solo punto di vista. Lo spettatore ha l'impressione di osservare quei luoghi attraverso le lenti soltanto di uno dei protagonisti, di chi avverte i propri dubbi pur continuando a coltivare la sua scelta di vivere in un luogo rassicurante, probabilmente di incontaminata fertilità ma al contempo privo di nuovi stimoli.


Vanina Lappa è rimasta lì un anno, filmando tutto quello che accadeva nel paesino, dalle singole dinamiche ai rituali collettivi susseguitesi per ogni stagione. Dall'uccisione dei maiali alle l’eleziono del sindaco nel paese, quel che emerge è la riflessione di due persone sulla loro volontà o meno di rimanere nella propria terra. Sull’esigenza o meno quindi di dover partire per trovare lavoro altrove oppure di confrontarsi direttamente con la conseguenza che tutti i paesini stiano rischiando sempre più spesso di rimanere vuoti.

Grazie a un interessante sguardo in ascolto, la regista ci restituisce la voce del sindaco fuori campo mentre si estende a raggiera dal centro della piazza alle vie circostanti fino ad arrivare allo spettatore, al quale sembra quasi di entrare in contatto, attraverso le sue parole, con la personificazione di oltre cinquant'anni di storia del luogo.

Non c’è nessuno ancora, solamente vecchi.

Si dice così nel film, con lo sguardo rivolto al bancone del bar di paese, mentre un trio di bambini è alla ricerca di una nuova partita di biliardino. La regista spiega di aver a lungo riflettuto insieme ai protagonisti cosa potesse significare per loro rimanere lì o andarsene via, almeno fino al momento del suo primo incontro con Antonio.

Non c’è la cultura… Questo paese neanche tra cent’anni cambia…

In seguito Vanina Lappa è tornata in Cilento per girare un secondo film in cui stavolta mette a fuoco la realtà dei pastori. Sempre girato a Caselle in Pittari (SA), nello stesso luogo, nello stesso paesaggio in Campania, quasi ai confini con la Basilicata, la regista segue stavolta la vita di Antonio, un pastore del luogo con cui inizia a parlare delle incredibili transumanze che l'uomo faceva sul Monte Cervati, dove da più di cento anni, rispetto ad altre parti d'Italia, si porta ancora avanti questa tradizione.

Antonio spiega alla regista di avere un problema, ossia di non poter più fare le trasumanze perché il Comune chiede a lui una tassa troppo alta che da solo non può sostenere poiché proibitiva.

Al contempo, pur non potendole fare, Antonio decide di andare lì lo stesso, di recarsi ugualmente in quel luogo colmo di ricordi proprio per sublimare questa difficoltà appena subentrata.

Antonio incuriosisce sin da subito la regista per il suo rapporto molto particolare con gli animali. Il pastore parla con loro, ci vive quasi in simbiosi, mostrando di avere un contatto con loro raro. 

 

Il modo con cui gli stessi animali si rapportano con Antonio sembra parlare da sé in lunghi momenti di silenzio in cui la camera indugia sul cane che in attesa del pastore scodinzola di fronte alla sua porta. Preservando al contempo l'ascolto del dialetto, di suoni naturali e onomatopeici, la regista lascia accedere lo spettatore nell'ammirazione per gli astri di quest'ultimo ancor prima di attendere il tramonto, mentre si sale verso la cima.

Gli animali, talvolta inquadrati in semi-soggetiva, sono i veri protagonisti del film, affollano le strade del paese, si ascoltano i loro passi, la camera stessa sembra voler indietreggiare in base al loro andamento mentre questi ultimi seguono il ritmo di una musica lontana e le orme invisibili lasciate dai pastori.


Una delle scene più intense del film è quella che immortala la conversazione di Antonio con un bambino del posto. Il bimbo chiede ad Antonio come mai il suo cane non abbia il collare, alludendo in tal modo alla possibilità che quest'abitudine possa farlo sembrare un randagio, un cane abbandonato. Antonio spiega al bambino che se un cane non ha un collare non vuol dire che sia stato abbandonato.

Se ti mettessero un collare come ti sentiresti?

Musiche e danze popolari prendono il posto delle voci circostanti per poi trasformarsi in scene in diretta dalla transumanza. A queste si sostituisce ancora un'alternanza di attimi meditativi del pastore fin quando un'ombra cala sulla montagna come a volerne indicare gli imposti confini contrapposti ai primi piani sullo sguardo del pastore.

 

Quando cala la notte notte si attraversa il bosco. I pastori sono illuminati soltanto dai fuochi d'artificio in lontananza e dal brillare suoi loro volti dato in questo caso non da luci artificiali quanto dal loro voler portare avanti il tentativo di tranquillizzare gli animali che li circondano.

 Ne dovete imparare di cose!

Quando questi uomini si radunano, fanno questa processione, sembrano diventare degli animali, racconta la regista. Urlare, cantare, per loro, diventa quasi un atto liberatorio. Come quando portano la Madonna in spalla a duemila metri d’altezza.

Antonio, nel film, entra in conflitto con quelle che sono le regole del Paese. È un uomo molto vicino agli animali e soffre un po’ i limiti imposti dalla comunità, dalla quale viene rimproverato.

Ho vissuto con loro per 4 anni, continua la regista, e con Un posto al mondo mi sono introdotta molto di più nell’entroterra, verso una realtà molto più aspra in un certo senso. Entrando però in contatto con dei riti che potrebbero apparire quasi fuori dal tempo per chi non vive lì.

Innanzitutto sembra un rituale molto legato alla Natura. Tant’è che durante il percorso che fanno non c’è neppure il prete – che arriva in macchina – quindi è un po’ come se scomparisse anche l’elemento religioso durante l’esperienza collettiva in totale immersione nella Natura. È qualcosa che va al di là della religione, almeno per me, come esperienza. E per me era molto importante metterlo nel film perché (questo punto di vista) dialoga molto col rapporto di Antonio, di questo pastore, con la Natura. Anche loro hanno bisogno di rinnovare questo rapporto con la Natura, poiché lo fanno una volta all’anno e lo esprimono soprattutto durante questa festività.


 







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Roma (RM), Italia

Progetto artistico critico letterario No profit a cura di Giada Ciliberto 

Giornalista Pubblicista 

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